Ultimo report
La mattina presto ci dirigiamo verso la prima radio “nativa”della riserva, Radio Kili, fondata nel 1983. Dalla strada che da Pine Ridge porta a Porcupine, si vede la sua lunga antenna e un edificio bianco. Sul tetto si trovano dei ragazzi che stanno facendo dei lavori di riparazione. Entriamo dentro e troviamo un gruppo di bianchi (!!) che stavano facendo una specie di giro nei locali della radio. Poi ci è stato spiegato. Le riparazioni che abbiamo visto prima del tetto, distrutto da una tempesta, sono state possibili grazie al contributo e all'impegno dei volontari dell'associazione no-profit Re-Member di Pine Ridge, e quel giorno i membri erano venuti a fare un giro per vedere come stavano procedendo i lavori. Incontriamo Arlo, il Dj della mattina che ci spiega un po' il suo lavoro, doppio in verità, perché mentre sistema la scaletta si occupa della figlia di pochi mesi. Parliamo poi con Serena, una delle responsabili della radio. Una donna piena di passione ed energia per il suo lavoro. La radio è la voce del popolo Lakota, l'unica che riesce a mettere in collegamento tutte le persone che, ad esempio, non hanno la tv e che, tramite la radio, vengono costantemente aggiornate sugli eventi del giorno. La radio, aggiunge, è un veicolo indispensabile per mantenere viva la lingua Lakota, lingua orale per eccellenza includendo programmazioni in lingua. È una radio no-profit, ci spiega, che si regge solo su contributi e donazioni. É quindi complicato per loro progettare un futuro senza la sicurezza di possibili investimenti e al contempo riuscire a far fronte a imprevisti come quello del tetto. Per ora è solo un sogno ma Serena spera un giorno di poter avere un'antenna così potente da riuscire a portare la voce del popolo Lakota il più distante possibile. Ci salutiamo augurandoci che il suo sogno si possa avverare in fretta.
Ritorniamo a Pine Ridge, per fare un ultimo giro tra il popolo che fu di Crazy Horse.
Forse più qui che da altre parti è evidente la stanchezza di chi ha perso la forza di combattere, lasciandosi tutto alle spalle e vivendo una non-vita. Ma è solo una parte di quello che abbiamo visto. Per fortuna. Altri, sebbene in evidente difficoltà economica, sono convinti che il futuro del loro popolo si debba ottenere con perseveranza e determinazione. Partendo dall'istruzione. Anche qui gli investimenti più importanti vengono fatti proprio nella scuola per preparare le generazioni future alla difesa della propria identità e della propria terra.
Ci dirigiamo verso la riserva di Rosebud con il pensiero di rimanere sfortunatamente solo un giorno, poichè La Donna ci ha avvertito che questo fine settimana ci sarà un Pow-wow a Standing Rock. Giusto il tempo di poter intervistare la nostra gentile ospite Charlee Archambault, responsabile per la Sanità della Riserva su quelli che sono i problemi legati alla violenza e alla salute e di incontrare una persona che si è rivelata una sorpresa meravigliosa: Victor Douville. La storia è andata così. Finita l'intervista con Charlee, lei ci chiede quali altre persone volessimo incontrare. Un po' dubbiosi sul poterlo rintracciare, proviamo a fare il nome di Victor Douville, professore universitario al Sinte Gleska di cui abbiamo letto nel libro Sandro. Per combinazione (strano ma vero!) è parente di Charlee, la quale lo chiama subito nel suo ufficio. Victor si rende disponibile ad incontrarci , ma subito! A corsa, guidati da un collega di Charlee che ci indica la strada, raggiungiamo l'università. In un posto silenzioso, immerso nella natura, l'edificio principale si staglia solitario con la forma di un enorme, magnifico tepee.
Il professore si mostra gentile e un po' impacciato dalla evidente timidezza. Ci parla di molte cose e, prima fra tutte, ci illustra con passione e accuratezza tipici di uno studioso l'importanza delle Black Hills, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche dal punto di vista astronomico. Mentre parlava ci ha mostrava i suoi studi sugli allineamenti planetari e stellari. Affascinante è dire poco.
Dispiaciuti del poco tempo passato assieme lo abbracciamo salutandolo per volare (letteralmente!!) a Fort Yates.
Il Pow wow è un raduno dove i nativi di varie riserve si ritrovano per cantare, danzare e socializzare.
E NON É FATTO PER GLI STRANIERI
Sbagliano coloro che pensano che sia solo folkrore.
Sbagliano coloro che pensano che è solo per “ricordare” il passato glorioso.
Sbagliano coloro che credono che non ci sia l'anima nelle danze e canti che vengono realizzati.
É la loro danza, sono i loro canti è la loro festa e noi siamo degli spettatori a cui è stata concessa la grande opportunità di condividere in parte la loro cultura.
Ne rimaniamo affascinati ed entusiasti. Tutta la Festa è un qualcosa di vivo, di vibrante, che emoziona veramente. Anche se è ci è dispiaciuto dedicare mento tempo a Rosebud, vedere di persona un Pow-wow ha valso la pena.
Ultimo giorno a Fort Yates, nelle Riserve, nel South Dakota. Con un bellissimo incontro: Chase Iron Eyes. Avvocato, scrittore e portavoce di molte campagne a difesa della cultura nativa, dai nomi indiani dati alle mascotte sportive alla campagna di raccolta fondi per Pe' Sla.
Persona mite e determinata ci ha parlato di lui, del suo sito e dell'impegno che tutti i giorni mette per salvaguardare la sua cultura, ci ha raccontato delle Black Hills della Madre Terra e delle nuove generazioni. Ci ha citato in particolare la profezia della settima generazione, quando finalmente tutto il popolo Lakota si riapproprierà della propria terra, della propria lingua e della propria cultura.
Siamo stati veramente felici di fare la conoscenza di una persona così eccezionale.
NdR
Probabilmente nei vari report è stato fatto abuso delle parole come emozione, bello, splendido, stupendo, affascinante... che dire?! Sono proprio delle belle persone. Siamo onorati di essere stati adottati per questi giorni da persone che meritano tutto il bene che si possa augurare.
Grazie a loro e grazie a tutti voi che ci avete seguito in questa avventura.
I report tra le riserve finisce qui, ma il lavoro non è affatto terminato.
Al nostro rientro inizieremo a tradurre le interviste e a lavorare alla mostra fotografica e al documentario. Ancora non possiamo prevedere il tempo che ci occorrerà, probabilmente qualche mese... tenete duro!
A presto, quindi!!
Mariangela e Fabio
Ritorniamo a Pine Ridge, per fare un ultimo giro tra il popolo che fu di Crazy Horse.
Forse più qui che da altre parti è evidente la stanchezza di chi ha perso la forza di combattere, lasciandosi tutto alle spalle e vivendo una non-vita. Ma è solo una parte di quello che abbiamo visto. Per fortuna. Altri, sebbene in evidente difficoltà economica, sono convinti che il futuro del loro popolo si debba ottenere con perseveranza e determinazione. Partendo dall'istruzione. Anche qui gli investimenti più importanti vengono fatti proprio nella scuola per preparare le generazioni future alla difesa della propria identità e della propria terra.
Ci dirigiamo verso la riserva di Rosebud con il pensiero di rimanere sfortunatamente solo un giorno, poichè La Donna ci ha avvertito che questo fine settimana ci sarà un Pow-wow a Standing Rock. Giusto il tempo di poter intervistare la nostra gentile ospite Charlee Archambault, responsabile per la Sanità della Riserva su quelli che sono i problemi legati alla violenza e alla salute e di incontrare una persona che si è rivelata una sorpresa meravigliosa: Victor Douville. La storia è andata così. Finita l'intervista con Charlee, lei ci chiede quali altre persone volessimo incontrare. Un po' dubbiosi sul poterlo rintracciare, proviamo a fare il nome di Victor Douville, professore universitario al Sinte Gleska di cui abbiamo letto nel libro Sandro. Per combinazione (strano ma vero!) è parente di Charlee, la quale lo chiama subito nel suo ufficio. Victor si rende disponibile ad incontrarci , ma subito! A corsa, guidati da un collega di Charlee che ci indica la strada, raggiungiamo l'università. In un posto silenzioso, immerso nella natura, l'edificio principale si staglia solitario con la forma di un enorme, magnifico tepee.
Il professore si mostra gentile e un po' impacciato dalla evidente timidezza. Ci parla di molte cose e, prima fra tutte, ci illustra con passione e accuratezza tipici di uno studioso l'importanza delle Black Hills, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche dal punto di vista astronomico. Mentre parlava ci ha mostrava i suoi studi sugli allineamenti planetari e stellari. Affascinante è dire poco.
Dispiaciuti del poco tempo passato assieme lo abbracciamo salutandolo per volare (letteralmente!!) a Fort Yates.
Il Pow wow è un raduno dove i nativi di varie riserve si ritrovano per cantare, danzare e socializzare.
E NON É FATTO PER GLI STRANIERI
Sbagliano coloro che pensano che sia solo folkrore.
Sbagliano coloro che pensano che è solo per “ricordare” il passato glorioso.
Sbagliano coloro che credono che non ci sia l'anima nelle danze e canti che vengono realizzati.
É la loro danza, sono i loro canti è la loro festa e noi siamo degli spettatori a cui è stata concessa la grande opportunità di condividere in parte la loro cultura.
Ne rimaniamo affascinati ed entusiasti. Tutta la Festa è un qualcosa di vivo, di vibrante, che emoziona veramente. Anche se è ci è dispiaciuto dedicare mento tempo a Rosebud, vedere di persona un Pow-wow ha valso la pena.
Ultimo giorno a Fort Yates, nelle Riserve, nel South Dakota. Con un bellissimo incontro: Chase Iron Eyes. Avvocato, scrittore e portavoce di molte campagne a difesa della cultura nativa, dai nomi indiani dati alle mascotte sportive alla campagna di raccolta fondi per Pe' Sla.
Persona mite e determinata ci ha parlato di lui, del suo sito e dell'impegno che tutti i giorni mette per salvaguardare la sua cultura, ci ha raccontato delle Black Hills della Madre Terra e delle nuove generazioni. Ci ha citato in particolare la profezia della settima generazione, quando finalmente tutto il popolo Lakota si riapproprierà della propria terra, della propria lingua e della propria cultura.
Siamo stati veramente felici di fare la conoscenza di una persona così eccezionale.
NdR
Probabilmente nei vari report è stato fatto abuso delle parole come emozione, bello, splendido, stupendo, affascinante... che dire?! Sono proprio delle belle persone. Siamo onorati di essere stati adottati per questi giorni da persone che meritano tutto il bene che si possa augurare.
Grazie a loro e grazie a tutti voi che ci avete seguito in questa avventura.
I report tra le riserve finisce qui, ma il lavoro non è affatto terminato.
Al nostro rientro inizieremo a tradurre le interviste e a lavorare alla mostra fotografica e al documentario. Ancora non possiamo prevedere il tempo che ci occorrerà, probabilmente qualche mese... tenete duro!
A presto, quindi!!
Mariangela e Fabio
Wounded Knee
Il viaggio verso Pine Ridge è accompagnato da un gelido vento e da un sottofondo di hit anni '60, Passiamo attraverso dei paesi che sebbene si trovassero dentro la riserva, sono abitati principalmente da bianchi. Sembra che siano sacche di “resistenza” dei bianchi, con i loro negozi, le loro cianfrusaglie nei musei, la loro ottusità bigotta. Passiamo oltre. L'idea è quella di andare a Green Grass dove abita Arvol Looking Horse, custode della Sacra Pipa della diciannovesima generazione. Per chi non sapesse che significa, il Custode della Sacra Pipa è, stigmatizzando, la più alta carica spirituale riconosciuta da tutti i nativi. Purtroppo per noi non c'era, partito -ci dicono- per la California. La nostra delusione, però, viene addolcita da quello che vediamo intorno a noi. Il posto in cui vive l'uomo più sacro in assoluto è semplice, in aperta campagna, lontano da centri abitati. La casa da fuori è una casa come tante altre che abbiamo visto in riserva. Povera, potrebbero pensare molti. Ma questi non hanno capito che qui la povertà o ricchezza non si misura nel possesso materiale. Ed è qui la differenza. L'unica testimonianza che lì ci vive un capo spirituale è la testa di un bisonte bianco in cima al patio esterno. Dovunque guardiamo ci fa rendere conto di essere in un luogo sacro. In alto sul crinale sventolano le bandiere con i colori dei popoli del mondo e i cavalli che si cibano dell'erba placidi. Poco distante una zona circolare con un palo alto al centro e tante bandiere dove presumiamo venga fatta la danza del sole. E prateria, e vento che ti scompiglia i capelli e tu, in questo niente pieno di suoni. In silenzio ci allontaniamo.
Il nostro viaggio prosegue lungo strade senza fine e anche con paesaggi simili alle nostre campagne toscane con campi punteggiati da rotoballe di fieno. Attraversiamo Eagle Butte, dove facciamo una sosta per vedere una (incomprensibile ai nostri occhi!) partita di Football americano con praticamente tutto il paese lì a fare il tifo.
Ancora strada lunga infinita e quasi all'improvviso ecco una parte della Badlands splendide nella loro sfrontata asprezza. Mi ritorna in mente la perfetta descrizione di Sandro delle Badlands “sembrano quelle strane forme che i bambini costruiscono facendo colare la sabbia piena d'acqua”.
Arriviamo a Wuonded Knee quasi senza accorgercene. In realtà ci aspettavamo banchetti di artigianato con la loro mercanzia esposta, persone con le loro macchine aperte per far vedere le loro creazioni. Non c'era nessuno. Neanche il cartello che ricorda la strage del 1890 è come lo pensavo: ora è rosso, così sgargiante che sa di nuovo, ma è lo stesso cartello con la toppa con su scritto MASSACRE messa al posto di battle. Su in cima, davanti al cimitero, ci ferma un ragazzo. Ha le braccia segnate da delle cicatrici parallele, forse il segno di una gang. Ha l'alito che sa di alcool ma ci fermiamo lo stesso a parlare. Lui ci vuole vendere un acchiappasogni, noi vogliamo sapere se va a scuola, se lì impara la sua lingua, la lingua lakota, la sua cultura. Risponde “politically correct” va a scuola, impara la lingua lakota, che è contento di questa rinascita di orgoglio lakota, ma non so quanto ci possa credere. Compriamo l'acchiappasogni. Più tardi, riguardandolo mi rendo conto che anche il colore delle perline è sbagliato: blu rosso arancione giallo.
Magari un giorno si ricorderà di due italiani a cui ha rifilato un ninnolo-bidone e penserà a ciò di cui abbiamo parlato, e magari ci penserà su, e magari potrà iniziare a percorrere la vera via, la via Lakota. Magari.
Attraversiamo il cancello ad arco ed entriamo. Esattamente come in tutti i cimiteri che abbiamo incontrato lungo le strade, i tumuli sono sempre adornate da oggetti che ricordano il defunto. I loro cimiteri, al contrario dei nostri tetri e tristi, sono quasi allegri. Ma qui, a Wounded Knee, riesci a pensare solo al massacro che fu fatto dal settimo reggimento di cavalleria e non trovi un motivo per essere allegro. Circa 300 tra donne, uomini e bambini, dei 350 Miniconjou guidati da Piede Grosso hanno trovato lì la morte. Lungo tutta la rete che protegge il luogo di sepoltura si trovano fazzoletti colorati, collane, scacciasogni, sigarette... testimonianze di ieri e di oggi della volontà di non dimenticare. Ci manca l'aria. Anche la saliva diventa ruvida da ingoiare. Veniamo sopraffatti dall'emozione e, con la scusa dell'approssimarsi del tramonto, ripartiamo.
Il giorno dopo Pine Ridge si rivela una cittadina molto animata. I ragazzi si ritrovano in un parco attrezzato con un piccolo campetto di basket e con un'area per lo skate. Ci mettiamo seduti a guardare una partita improvvisata. Vediamo in prevalenza diffidenza. Sufficienza. Noi siamo degli intrusi lì. Siamo dei bianchi e per di più con macchina fotografica e telecamera che, se da una parte li incuriosiscono, dall'altra li rendono ancora più sospettosi. Ad un certo punto un ragazzo sbaglia una presa e la palla rotola fino alla gamba di Fabio che la restituisce improvvisando un lancio sghembo. Rotto il ghiaccio, non del tutto ma quanto basta ad avere qualche sorriso!
Nel pomeriggio ci avviamo alla sede del consiglio tribale di Pine Ridge. Lì abbiamo un appuntamento con il Vice presidente Tom Poor Bear. Ci riceve tra un incontro ed un'altro, indaffaratissimo. Ci concede giusto un po' del suo tempo per poter parlare dei problemi, e purtroppo anche evidenti, della riserva della tribù Oglala. Tom inizia a snocciolare una serie di questioni: acqua, case, riscaldamento, tutto il minimo indispensabile per vivere sembra essere una conquista sofferta. Il governo statunitense qui è più latitante. Il motivo? È lo scotto che ancora oggi pagano per l'occupazione di Wounded Knee nel 1973. La rivolta, che poi è diventata una occupazione durata 71 giorni, nacque per protestare contro i soprusi di Dick Wilson, agente del BIA e uomo violento e corrotto e rivendicare il rispetto dei Trattati. All'occupazione gli Stati Uniti risposero prontamente inviando ingenti forze dell' FBI e dell'esercito.
Tom parla ancora a lungo e si percepisce chiaramente la frustrazione di chi vorrebbe fare molto di più perchè quello che fa non è mai abbastanza. Ma fuori c'è la speranza. Come il giovanotto che per caso troviamo usciti dall'edificio e che una signora ci dice essere il discendente di Alce Nero, uomo di medicina e testimone del massacro di Wounded Knee. Gira con un fazzoletto giallo legato ai jeans. Non c'è bisogno di chiedere se è orgoglioso delle sue origini, di essere un Oglala. Si vede. Sebbene sia ancora un ragazzo ha lo sguardo fermo e determinato di un uomo. Sì, in lui vediamo la speranza.
Pine Ridge, 24 Settembre
Il nostro viaggio prosegue lungo strade senza fine e anche con paesaggi simili alle nostre campagne toscane con campi punteggiati da rotoballe di fieno. Attraversiamo Eagle Butte, dove facciamo una sosta per vedere una (incomprensibile ai nostri occhi!) partita di Football americano con praticamente tutto il paese lì a fare il tifo.
Ancora strada lunga infinita e quasi all'improvviso ecco una parte della Badlands splendide nella loro sfrontata asprezza. Mi ritorna in mente la perfetta descrizione di Sandro delle Badlands “sembrano quelle strane forme che i bambini costruiscono facendo colare la sabbia piena d'acqua”.
Arriviamo a Wuonded Knee quasi senza accorgercene. In realtà ci aspettavamo banchetti di artigianato con la loro mercanzia esposta, persone con le loro macchine aperte per far vedere le loro creazioni. Non c'era nessuno. Neanche il cartello che ricorda la strage del 1890 è come lo pensavo: ora è rosso, così sgargiante che sa di nuovo, ma è lo stesso cartello con la toppa con su scritto MASSACRE messa al posto di battle. Su in cima, davanti al cimitero, ci ferma un ragazzo. Ha le braccia segnate da delle cicatrici parallele, forse il segno di una gang. Ha l'alito che sa di alcool ma ci fermiamo lo stesso a parlare. Lui ci vuole vendere un acchiappasogni, noi vogliamo sapere se va a scuola, se lì impara la sua lingua, la lingua lakota, la sua cultura. Risponde “politically correct” va a scuola, impara la lingua lakota, che è contento di questa rinascita di orgoglio lakota, ma non so quanto ci possa credere. Compriamo l'acchiappasogni. Più tardi, riguardandolo mi rendo conto che anche il colore delle perline è sbagliato: blu rosso arancione giallo.
Magari un giorno si ricorderà di due italiani a cui ha rifilato un ninnolo-bidone e penserà a ciò di cui abbiamo parlato, e magari ci penserà su, e magari potrà iniziare a percorrere la vera via, la via Lakota. Magari.
Attraversiamo il cancello ad arco ed entriamo. Esattamente come in tutti i cimiteri che abbiamo incontrato lungo le strade, i tumuli sono sempre adornate da oggetti che ricordano il defunto. I loro cimiteri, al contrario dei nostri tetri e tristi, sono quasi allegri. Ma qui, a Wounded Knee, riesci a pensare solo al massacro che fu fatto dal settimo reggimento di cavalleria e non trovi un motivo per essere allegro. Circa 300 tra donne, uomini e bambini, dei 350 Miniconjou guidati da Piede Grosso hanno trovato lì la morte. Lungo tutta la rete che protegge il luogo di sepoltura si trovano fazzoletti colorati, collane, scacciasogni, sigarette... testimonianze di ieri e di oggi della volontà di non dimenticare. Ci manca l'aria. Anche la saliva diventa ruvida da ingoiare. Veniamo sopraffatti dall'emozione e, con la scusa dell'approssimarsi del tramonto, ripartiamo.
Il giorno dopo Pine Ridge si rivela una cittadina molto animata. I ragazzi si ritrovano in un parco attrezzato con un piccolo campetto di basket e con un'area per lo skate. Ci mettiamo seduti a guardare una partita improvvisata. Vediamo in prevalenza diffidenza. Sufficienza. Noi siamo degli intrusi lì. Siamo dei bianchi e per di più con macchina fotografica e telecamera che, se da una parte li incuriosiscono, dall'altra li rendono ancora più sospettosi. Ad un certo punto un ragazzo sbaglia una presa e la palla rotola fino alla gamba di Fabio che la restituisce improvvisando un lancio sghembo. Rotto il ghiaccio, non del tutto ma quanto basta ad avere qualche sorriso!
Nel pomeriggio ci avviamo alla sede del consiglio tribale di Pine Ridge. Lì abbiamo un appuntamento con il Vice presidente Tom Poor Bear. Ci riceve tra un incontro ed un'altro, indaffaratissimo. Ci concede giusto un po' del suo tempo per poter parlare dei problemi, e purtroppo anche evidenti, della riserva della tribù Oglala. Tom inizia a snocciolare una serie di questioni: acqua, case, riscaldamento, tutto il minimo indispensabile per vivere sembra essere una conquista sofferta. Il governo statunitense qui è più latitante. Il motivo? È lo scotto che ancora oggi pagano per l'occupazione di Wounded Knee nel 1973. La rivolta, che poi è diventata una occupazione durata 71 giorni, nacque per protestare contro i soprusi di Dick Wilson, agente del BIA e uomo violento e corrotto e rivendicare il rispetto dei Trattati. All'occupazione gli Stati Uniti risposero prontamente inviando ingenti forze dell' FBI e dell'esercito.
Tom parla ancora a lungo e si percepisce chiaramente la frustrazione di chi vorrebbe fare molto di più perchè quello che fa non è mai abbastanza. Ma fuori c'è la speranza. Come il giovanotto che per caso troviamo usciti dall'edificio e che una signora ci dice essere il discendente di Alce Nero, uomo di medicina e testimone del massacro di Wounded Knee. Gira con un fazzoletto giallo legato ai jeans. Non c'è bisogno di chiedere se è orgoglioso delle sue origini, di essere un Oglala. Si vede. Sebbene sia ancora un ragazzo ha lo sguardo fermo e determinato di un uomo. Sì, in lui vediamo la speranza.
Pine Ridge, 24 Settembre
_I due Dave
_
Oggi abbiamo deciso di andare a conoscere Dave Archamabault (figlio).
Il tutto nasce dopo aver letto il libro di Sandro Onofri, Vite di Riserva scritto nel 1992
Nel libro Sandro racconta i suoi viaggi attraverso le riserve indiane, narra di storie e di genti. Volevamo ripercorrere il suo viaggio e vedere cosa fosse cambiato dopo vent'anni.
Per questo abbiamo provato a rintracciare Dave Archambault, figura importante di una delle sue storie. Così, ancora in Italia, apriamo Facebook e tentiamo la sorte.
Per un incomprensibile motivo solo due sono le persone che risultano come Dave Archambault: la prima ha un aspetto “tipicamente americano”. Dunque, azzardiamo, e chiediamo amicizia al secondo Dave.
Accetta e così possiamo spiegargli chi siamo e perchè lo abbiamo contattato. Se avessimo fatto una scommessa l'avremmo vinta a metà: abita nella riserva di Standing Rock, è Lakota, ma non è il Dave del libro. Il “vero” Dave è suo padre!!
Poco distante da Cannon Ball raggiungiamo la casa di Dave, dove ci stava aspettando sul patio insieme alla moglie ed a uno dei suoi figli. Dave, visibilmente imbarazzato, inizia a parlare davanti alla telecamera, del suo lavoro. È responsabile per la formazione e lo sviluppo economico della riserva. Chiediamo in che modo possiamo essere loro d'aiuto. Sorride. “Per crescere, più che di assistenzialismo” ci dice Dave, “abbiamo bisogno di essere messi in contatto con possibili partners commerciali stranieri.” Ma c'è un altro argomento di cui Dave non vede l'ora di parlare: la sua grande passione per i cavalli, cavalli di razza indiana. È una passione impegnativa ed onerosa, ci spiega, ma estremamente significativa. La cultura del cavallo fa parte della stessa cultura Lakota . Così ci fa montare sul suo pick-up e ci porta a vederli. I cavalli non si trovano dentro ad un recinto ma sono liberi, tant'è che Dave ha dovuto guidare a lungo su e giù per le colline della prateria prima di poterli trovare! Ecco che li vediamo dietro al crinale di una collina. Bellissimi. Dave ci mostra con orgoglio i suoi “tesori” ed in particolare il curly dalla criniera ricciola. Gli viene versato per terra un po' di mangime per permettere di avvicinarci per scattare qualche foto anche se erano molto nervosi per la nostra presenza. Sulla strada del ritorno Dave si accorge che alcuni ponyes erano scappati. Un grosso guaio a cui si doveva porre rimedio subito. Così, l'escursione “didattica”
diventa una specie di rodeo alla rincorsa dei fuggiaschi. Dave fa scendere dal cassone del pickup il suo cane che chiama Buster e che a dispetto della sua stazza (è un cucciolone tipo bulldog) è un validissimo cane-pastore... di ponyes. Appena messo in terra ha capito subito cosa doveva fare e si è messo a correre come un pazzo dietro ai cavalli per guidarli nella giusta direzione e noi dietro a loro. Dopo molti su e giù per le colline alla fine siamo riusciti a farli rientrare nello spazio sicuro. Non prevista ma assolutamente una esperienza esilarante!
Una volta rientrati a casa, prima di salutarci, Dave ci fa vedere il suo orto. Piante di succosi pomodori, patate dalla buccia rossa, peperoni....circondati da una un'erbaccia spontanea: la stickers. I suoi semi, pieni di aculei, si attaccano a tutto ciò che incontrano. Li avevamo a centinaia nei pantaloni, nei calzini, nelle scarpe, praticamente ovunque e per toglierli sono stati guai (e dolori!).
Di ritorno a Fort Yates per conoscere finalmente il Dave “del libro”, ci fermiamo a prendere un caffè al Market e fare una passeggiata rilassante. Ad un certo punto incontriamo un gruppo di bambine insieme ad una banda di cani, più o meno cuccioli, che le seguivano scodinzolando. Visti e presi. Non c'è modo di dire che calza di più a quanto ci è successo. Le bambine, appena si sono rese conto di essere davanti a due stranieri ci hanno preso letteralmente per mano e ci hanno fatto vedere tutti gli angoli del paese. Dal parco con tanto di dimostrazione di abilità nei vari giochi (coinvolgendo anche Mariangela), al Market dove ci illustrano tutti gli scaffali con particolare cura il lato dei dolciumi, fino alla casa dei fantasmi, dove, per gioco, Mariangela non voleva passare per la grande paura. Così viene presa per mano da tutte le bambine per farle coraggio! É stato assolutamente comico. Durante il tragitto le bimbe hanno condiviso con noi i loro dolcetti, che a dire la verità erano concentrati di zuccheri malefici, ma la loro spontanea generosità ci ha fatto superare la nostra riluttanza. Ci siamo fatti dei nuovi piccoli amici e questo ci fa sentire meravigliosamente felici.
Vista l'ora, ci salutiamo e andiamo, finalmente, da Dave.
Lo troviamo fuori, intento ad organizzare i materiali per le riparazioni della casa. Ci sorride e lo abbracciamo. Iniziamo a parlare, gli raccontiamo di Sandro e del suo libro, gli raccontiamo di noi e del nostro viaggio. E lui inizia a raccontarci la sua storia, ci racconta della tempesta che ha scoperchiato la casa e che ha distrutto le sue pale eoliche. Il primo in tutta la riserva a metterle, sottolinea. Ci dice che a distanza di venti anni, da quando ha conosciuto Sandro, poco è cambiato. I problemi sono ancora tanti, e mentre li elenca il suo volto diventa teso e tirato. Si sente troppo anziano per continuare a fare la differenza. Poi sorride. Toccherà alle nuove generazioni. E grazie alla scuola della Riserva, saranno nuove generazioni che parleranno la lingua Lakota, che conosceranno la cultura Lakota e che seguiranno la “indian way” le virtù della via Lakota: preghiera, rispetto, compassione, onestà, generosità, umiltà e saggezza.
Ci fa entrare in casa dove Betty ci ha preparato una calda (fuori in effetti si stava raffrescando) , gustosa zuppa di mais con la timpisila, un tipo di rapa selvatica che viene conservata intrecciata come una resta d'aglio e una gigantesca fetta di torta alla carota per festeggiare il suo compleanno.
Standing Rock, 22 settembre
Oggi abbiamo deciso di andare a conoscere Dave Archamabault (figlio).
Il tutto nasce dopo aver letto il libro di Sandro Onofri, Vite di Riserva scritto nel 1992
Nel libro Sandro racconta i suoi viaggi attraverso le riserve indiane, narra di storie e di genti. Volevamo ripercorrere il suo viaggio e vedere cosa fosse cambiato dopo vent'anni.
Per questo abbiamo provato a rintracciare Dave Archambault, figura importante di una delle sue storie. Così, ancora in Italia, apriamo Facebook e tentiamo la sorte.
Per un incomprensibile motivo solo due sono le persone che risultano come Dave Archambault: la prima ha un aspetto “tipicamente americano”. Dunque, azzardiamo, e chiediamo amicizia al secondo Dave.
Accetta e così possiamo spiegargli chi siamo e perchè lo abbiamo contattato. Se avessimo fatto una scommessa l'avremmo vinta a metà: abita nella riserva di Standing Rock, è Lakota, ma non è il Dave del libro. Il “vero” Dave è suo padre!!
Poco distante da Cannon Ball raggiungiamo la casa di Dave, dove ci stava aspettando sul patio insieme alla moglie ed a uno dei suoi figli. Dave, visibilmente imbarazzato, inizia a parlare davanti alla telecamera, del suo lavoro. È responsabile per la formazione e lo sviluppo economico della riserva. Chiediamo in che modo possiamo essere loro d'aiuto. Sorride. “Per crescere, più che di assistenzialismo” ci dice Dave, “abbiamo bisogno di essere messi in contatto con possibili partners commerciali stranieri.” Ma c'è un altro argomento di cui Dave non vede l'ora di parlare: la sua grande passione per i cavalli, cavalli di razza indiana. È una passione impegnativa ed onerosa, ci spiega, ma estremamente significativa. La cultura del cavallo fa parte della stessa cultura Lakota . Così ci fa montare sul suo pick-up e ci porta a vederli. I cavalli non si trovano dentro ad un recinto ma sono liberi, tant'è che Dave ha dovuto guidare a lungo su e giù per le colline della prateria prima di poterli trovare! Ecco che li vediamo dietro al crinale di una collina. Bellissimi. Dave ci mostra con orgoglio i suoi “tesori” ed in particolare il curly dalla criniera ricciola. Gli viene versato per terra un po' di mangime per permettere di avvicinarci per scattare qualche foto anche se erano molto nervosi per la nostra presenza. Sulla strada del ritorno Dave si accorge che alcuni ponyes erano scappati. Un grosso guaio a cui si doveva porre rimedio subito. Così, l'escursione “didattica”
diventa una specie di rodeo alla rincorsa dei fuggiaschi. Dave fa scendere dal cassone del pickup il suo cane che chiama Buster e che a dispetto della sua stazza (è un cucciolone tipo bulldog) è un validissimo cane-pastore... di ponyes. Appena messo in terra ha capito subito cosa doveva fare e si è messo a correre come un pazzo dietro ai cavalli per guidarli nella giusta direzione e noi dietro a loro. Dopo molti su e giù per le colline alla fine siamo riusciti a farli rientrare nello spazio sicuro. Non prevista ma assolutamente una esperienza esilarante!
Una volta rientrati a casa, prima di salutarci, Dave ci fa vedere il suo orto. Piante di succosi pomodori, patate dalla buccia rossa, peperoni....circondati da una un'erbaccia spontanea: la stickers. I suoi semi, pieni di aculei, si attaccano a tutto ciò che incontrano. Li avevamo a centinaia nei pantaloni, nei calzini, nelle scarpe, praticamente ovunque e per toglierli sono stati guai (e dolori!).
Di ritorno a Fort Yates per conoscere finalmente il Dave “del libro”, ci fermiamo a prendere un caffè al Market e fare una passeggiata rilassante. Ad un certo punto incontriamo un gruppo di bambine insieme ad una banda di cani, più o meno cuccioli, che le seguivano scodinzolando. Visti e presi. Non c'è modo di dire che calza di più a quanto ci è successo. Le bambine, appena si sono rese conto di essere davanti a due stranieri ci hanno preso letteralmente per mano e ci hanno fatto vedere tutti gli angoli del paese. Dal parco con tanto di dimostrazione di abilità nei vari giochi (coinvolgendo anche Mariangela), al Market dove ci illustrano tutti gli scaffali con particolare cura il lato dei dolciumi, fino alla casa dei fantasmi, dove, per gioco, Mariangela non voleva passare per la grande paura. Così viene presa per mano da tutte le bambine per farle coraggio! É stato assolutamente comico. Durante il tragitto le bimbe hanno condiviso con noi i loro dolcetti, che a dire la verità erano concentrati di zuccheri malefici, ma la loro spontanea generosità ci ha fatto superare la nostra riluttanza. Ci siamo fatti dei nuovi piccoli amici e questo ci fa sentire meravigliosamente felici.
Vista l'ora, ci salutiamo e andiamo, finalmente, da Dave.
Lo troviamo fuori, intento ad organizzare i materiali per le riparazioni della casa. Ci sorride e lo abbracciamo. Iniziamo a parlare, gli raccontiamo di Sandro e del suo libro, gli raccontiamo di noi e del nostro viaggio. E lui inizia a raccontarci la sua storia, ci racconta della tempesta che ha scoperchiato la casa e che ha distrutto le sue pale eoliche. Il primo in tutta la riserva a metterle, sottolinea. Ci dice che a distanza di venti anni, da quando ha conosciuto Sandro, poco è cambiato. I problemi sono ancora tanti, e mentre li elenca il suo volto diventa teso e tirato. Si sente troppo anziano per continuare a fare la differenza. Poi sorride. Toccherà alle nuove generazioni. E grazie alla scuola della Riserva, saranno nuove generazioni che parleranno la lingua Lakota, che conosceranno la cultura Lakota e che seguiranno la “indian way” le virtù della via Lakota: preghiera, rispetto, compassione, onestà, generosità, umiltà e saggezza.
Ci fa entrare in casa dove Betty ci ha preparato una calda (fuori in effetti si stava raffrescando) , gustosa zuppa di mais con la timpisila, un tipo di rapa selvatica che viene conservata intrecciata come una resta d'aglio e una gigantesca fetta di torta alla carota per festeggiare il suo compleanno.
Standing Rock, 22 settembre
_LEZIONI
_Report#3
La mattina presto a casa di La Donna e Miles ci svegliamo attirati da un invitante profumo.
Scendiamo al piano di sotto e troviamo Miles impeganto tra i fornelli a cucinare uova fritte, bacon e toast per la colazione. In realtà non si può parlare solo di una semplice colazione perchè questa è la prima coccola che lui offre tutte le mattine alla sua metà.
I nostri amici si offrono di farci conoscere il fratello di Miles, un prete cattolico che cura la chiesa di Fort Yates. Prima di partire, però, ci fanno dono di una lunga treccia di “sweet grass” e un mazzo di Sage tenuta insieme da un filo rosso. La sweet grass è un'erba che con i suoi profumi trasmette positività ed è segno di buon auspicio.
Arriviamo nel piazzale della chiesa circondato da curatissimi roseti (è la passione del fratello di Miles) e da una grande piccionaia. Miles ci fa l'onore di mostrarci un posto sacro proprio lì vicino. Non è possibile fare riprese e foto ma con accuratezza ci spiega cosa stiamo vedendo. Proprio quasi accanto ad una chiesa (e questo ai nostri occhi fa proprio strano!!) si trova una capanna sudatoria, la inipi. Chiediamo come sia possibile che due simboli di religioni diverse possano essere l'una accanto all'altra. Questa volta risponde il prete: è assolutamente normale, in quanto in entrambi i casi è possibile parlare con Dio, o Grande Spirito, o comunque venga chiamato. Rimaniamo in silenzio, stupefatti dalla grande lezione di civiltà che ci dimostrano queste persone e che noi occidentali siamo ben lungi dall'averla imparata.
La grande serietà dello sguardo di Miles mentre ci spiega come si svolge il rito di purificazione ci fa capire quanto siano false ed assolutamente dannose tutte quelle sedicenti cerimonie che vengono proposte in Italia ed in Europa con l'unico scopo di lucrare alle spalle dei creduloni.
Tutto nella cultura Lakota riporta al cerchio: l'inipi è una bassa tenda circolare, il fuoco per riscaldare le pietre è anch'esso racchiuso in un cerchio di mattoni. Il cerchio è suddiviso nelle quattro direzioni ed ogni direzione rappresenta un colore, ogni colore rappresenta un popolo. E qui abbiamo un'altra lezione di civiltà: le loro preghiere sono rivolte a tutti noi, indifferentemente chi siamo e da dove veniamo.
Ancora un po' disorientati dalla grande forza spirituale di Miles, andiamo quindi a vedere la chiesa un po' titubanti su quello che ci aspetta. Ciò che si svela ai nostri occhi non era certo quello che ci aspettavamo da una “normale” chiesa cattolica. L'edificio è stato costruito seguendo le linee di un tipi o tepee e con nostra meraviglia, invece del solito Gesù biondo troviamo un Gesù-Sundencer, raffigurato proprio come un nativo che, esattamente come il Cristo, offre il suo corpo per il popolo.
L'arredamento è una armoniosa mescolanza di simboli cattolici e simboli nativi. Anche durante la messa vige la stessa regola: il prete suona il tamburo tradizionale e intona le preghiere Lakota durante la celebrazione cattolica.
Mentre ci salutiamo ci è venuto spontaneo dirgli che saremmo voluti restare qui per sempre.
Con una semplicità disarmante ci risponde che non è possibile “per sempre” poichè un giorno dovremmo comunque morire...
Altra lezione di saggezza.
Standing Rock, 21 settembre
La mattina presto a casa di La Donna e Miles ci svegliamo attirati da un invitante profumo.
Scendiamo al piano di sotto e troviamo Miles impeganto tra i fornelli a cucinare uova fritte, bacon e toast per la colazione. In realtà non si può parlare solo di una semplice colazione perchè questa è la prima coccola che lui offre tutte le mattine alla sua metà.
I nostri amici si offrono di farci conoscere il fratello di Miles, un prete cattolico che cura la chiesa di Fort Yates. Prima di partire, però, ci fanno dono di una lunga treccia di “sweet grass” e un mazzo di Sage tenuta insieme da un filo rosso. La sweet grass è un'erba che con i suoi profumi trasmette positività ed è segno di buon auspicio.
Arriviamo nel piazzale della chiesa circondato da curatissimi roseti (è la passione del fratello di Miles) e da una grande piccionaia. Miles ci fa l'onore di mostrarci un posto sacro proprio lì vicino. Non è possibile fare riprese e foto ma con accuratezza ci spiega cosa stiamo vedendo. Proprio quasi accanto ad una chiesa (e questo ai nostri occhi fa proprio strano!!) si trova una capanna sudatoria, la inipi. Chiediamo come sia possibile che due simboli di religioni diverse possano essere l'una accanto all'altra. Questa volta risponde il prete: è assolutamente normale, in quanto in entrambi i casi è possibile parlare con Dio, o Grande Spirito, o comunque venga chiamato. Rimaniamo in silenzio, stupefatti dalla grande lezione di civiltà che ci dimostrano queste persone e che noi occidentali siamo ben lungi dall'averla imparata.
La grande serietà dello sguardo di Miles mentre ci spiega come si svolge il rito di purificazione ci fa capire quanto siano false ed assolutamente dannose tutte quelle sedicenti cerimonie che vengono proposte in Italia ed in Europa con l'unico scopo di lucrare alle spalle dei creduloni.
Tutto nella cultura Lakota riporta al cerchio: l'inipi è una bassa tenda circolare, il fuoco per riscaldare le pietre è anch'esso racchiuso in un cerchio di mattoni. Il cerchio è suddiviso nelle quattro direzioni ed ogni direzione rappresenta un colore, ogni colore rappresenta un popolo. E qui abbiamo un'altra lezione di civiltà: le loro preghiere sono rivolte a tutti noi, indifferentemente chi siamo e da dove veniamo.
Ancora un po' disorientati dalla grande forza spirituale di Miles, andiamo quindi a vedere la chiesa un po' titubanti su quello che ci aspetta. Ciò che si svela ai nostri occhi non era certo quello che ci aspettavamo da una “normale” chiesa cattolica. L'edificio è stato costruito seguendo le linee di un tipi o tepee e con nostra meraviglia, invece del solito Gesù biondo troviamo un Gesù-Sundencer, raffigurato proprio come un nativo che, esattamente come il Cristo, offre il suo corpo per il popolo.
L'arredamento è una armoniosa mescolanza di simboli cattolici e simboli nativi. Anche durante la messa vige la stessa regola: il prete suona il tamburo tradizionale e intona le preghiere Lakota durante la celebrazione cattolica.
Mentre ci salutiamo ci è venuto spontaneo dirgli che saremmo voluti restare qui per sempre.
Con una semplicità disarmante ci risponde che non è possibile “per sempre” poichè un giorno dovremmo comunque morire...
Altra lezione di saggezza.
Standing Rock, 21 settembre
_To STANDING ROCK TRIBE RESERVATION
_Report#2
E' ancora mattina presto quando carichiamo le nostre valigie per lasciare Mobridge e dirigerci verso la prima tappa della giornata: il monumento commemorativo di Sitting Bull, cioè Toro Seduto, cioè Bufalo Seduto, visto che ci hanno confermato essere questa la giusta traduzione. Prima di uscire dal paese ci fermiamo all'unico telefono pubblico per poter avvertire Dave, il nostro contatto nella riserva, del nostro arrivo. Mission impossible: i telefoni pubblici americani si sono rivelati non solo pochi e nascosti bene, ma anche dei marchingegni infernali. Sebbene avessimo provato anche a contattare l'operatore che dovrebbe aiutare lo sventurato utente, dopo molti tentativi rinunciamo ad effettuare la chiamata.
Non abbiamo ancora capito per quale strana magia ma appena superato il ponte sul Missouri e quindi superato il confine della riserva, il paesaggio che si apre davanti ai nostri occhi si rivela completamente trasformato. La stanca uniforme campagna agricole lascia il posto a piccole colline di prateria selvaggia.
Forse sarà per lo stesso istinto di conservazione che da noi, durante il periodo di caccia, fa spostare i fagiani al sicuro nei fondi chiusi, qui, dentro i confini della riserva dove la caccia non è consentita, troviamo vaste colonie di buffi cani della prateria giocare allegramente tra loro e un coyote (assolutamente vivo questa volta) che ci guarda con curiosità prima di scappare via dai suoi fratelli.
Il monumento si trova su una punta di terreno che guarda il fiume Missouri. Intorno nient'altro che il silenzio del vento di prateria.
Sotto il mezzobusto di Tatanka Yotake si trovano svariati doni che i Lakota (non chiamiamoli più genericamente indiani!) Dakota e Nakota lasciano per onorare il grande capo: sigarette, collane, fazzoletti rossi, borsine fatte con teste di animali, fasci di Sage, la Salvia Sacra che viene usata nei riti di purificazione.
C'è chi dice che proprio qui siano seppelliti i resti di Sitting Bull. C'è anche chi dice che gli stessi resti siano seppelliti a Fort Yates nel punto in cui sorge un altro monumento a lui dedicato. Ma c'è anche chi dice, e questa forse è la versione più plausibile, che i veri resti siano seppelliti in un luogo segreto conosciuto solo dal popolo Lakota, lontano dagli occhi dei curiosi.
Ci aspettano tre ore di viaggio prima di arrivare a Fort Yates, dove dovrebbe abitare Dave. Dovrebbe, in quanto più volte gli abbiamo chiesto via mail il suo indirizzo, e lui ci ha sempre risposto con un laconico Fort Yates e il suo numero di telefono!
Durante una sosta per fare delle foto al paesaggio, si ferma con il suo pick-up un ragazzo dai capelli neri chiusi in una lunga treccia, per chiederci se avessimo bisogno di aiuto. Niente di meglio! Approfittiamo subito per chiedergli se sapesse dove abita un certo Dave Archambault. Il ragazzo sorride e ci dice che è suo cugino e ci spiega dove lo possiamo trovare. Capiamo anche il motivo per cui Dave non ci ha mai lasciato un indirizzo preciso: abita a due miglia prima di Fort Yates in aperta campagna dove presumo anche i più scaltri postini si possano perdere.
Dopo varie miglia e varie strade sbagliate, alla fine riusciamo a trovare la casa. Un grande parallelepipedo bianco appoggiato alla sommità di una collina. Dal fuori non darebbe proprio l'idea di una casa abitata, macchine sparpagliate sullo spiazzo davanti casa, materiali da costruzione appoggiati qua e là, finestre chiuse da teli di plastica. Unica forma di vita tre simpaticissimi cuccioli di cane che ci vengono incontro scodinzolando.
Titubanti bussiamo alla porta. Ci apre Betty, la moglie di Dave che ci accoglie abbracciandoci. Quella che fuori sembrava una casa abbandonata, si rivela un luogo meraviglioso: libri da tutte le parti, fotografie dei figli e dei nipoti, oggetti tradizionali lakota, trofei sportivi: tutto parla della storia di questa famiglia. Betty ci spiega che una recente tempesta ha rotto i vetri delle finestre e scoperchiato il tetto e che Dave stava riparando i danni . Proprio per questo motivo il nostro amico non era a casa, doveva andare a comperare altro materiale e non sarebbe tornato fino a tarda sera.
Per sopperire alla sua assenza, Betty si offre di accompagnarci a Fort Yates per farci incontrare con un membro del consiglio tribale, LaDonna Allard, responsabile del Dipartimento del Turismo della Standing Rock Reservation.
Dopo le presentazioni di rito ci dirigiamo nella stanza di rappresentanza per procedere con l'intervista. Betty propone di iniziare con un canto tradizionale lakota come augurio di buon auspicio. Sebbene il canto provenisse da due singole voci, l'eccezionale musicalità delle due donne ha riempito tutta la stanza e ci ha fatto emozionare.
Mentre La Donna rispondeva alle domande dell'intervista, ci rendevamo conto che davanti a noi si sedeva una donna capace, forte e piena di consapevolezza. Alla domanda su quale sia oggi il ruolo femminile nella società tribale, lo sguardo della nostra interlocutrice si accende e con orgoglio ci spiega che la donna è tutt'ora il centro della famiglia e della Tribù, è un punto di arrivo e di partenza, il centro del sacro cerchio, simbolo dei Nativi.
Senza rendercene conto si erano fatte le sei, l'edificio doveva essere chiuso, così La Donna ci invita a casa sua per terminare l'intervista. A casa ci aspetta Miles, il marito, un uomo affascinante dai lunghi capelli bianchi e dalla barba folta e ben curata e Kokò, una bellissima gattina di pochi mesi di cui diventeremo compagni di gioco.
L'intervista prosegue per un po', ma vista approssimarsi l'ora di cena i nostri nuovi amici ci invitano a mangiare al Casinò. Ci siamo sempre chiesti se la presenza dei casinò potesse essere una faccenda dai risvolti negativi e dubitavamo su quale potesse essere l'attinenza con la via indiana.
Affrontiamo questo spinoso argomento con Miles che ci spiega tranquillamente che è proprio grazie ai proventi dei casinò che le riserve possono dotarsi di scuole moderne, efficienti e sopratutto gratis, dai libri alla mensa. Gli introiti infatti, vengono ridistribuiti dal consiglio tribale all'interno delle riserva stessa, riuscendo a garantire i servizi a tutta la comunità. In questo modo è stato possibile, ad esempio, costruire le Survaivol School, delle scuole materne dove viene fatto l'avviamento alla lingua Lakota.
Entrambi entusiasti dall'intensità del rapporto che si è andato a creare, LaDonna e Miles ci invitano a dormire a casa loro come si fosse dei vecchi amici. Così la nostra giornata si conclude con noi che dormiamo in un lettone e con Kokò che gioca con i nostri piedi.
Fort Yates, 17 settembre 2012
E' ancora mattina presto quando carichiamo le nostre valigie per lasciare Mobridge e dirigerci verso la prima tappa della giornata: il monumento commemorativo di Sitting Bull, cioè Toro Seduto, cioè Bufalo Seduto, visto che ci hanno confermato essere questa la giusta traduzione. Prima di uscire dal paese ci fermiamo all'unico telefono pubblico per poter avvertire Dave, il nostro contatto nella riserva, del nostro arrivo. Mission impossible: i telefoni pubblici americani si sono rivelati non solo pochi e nascosti bene, ma anche dei marchingegni infernali. Sebbene avessimo provato anche a contattare l'operatore che dovrebbe aiutare lo sventurato utente, dopo molti tentativi rinunciamo ad effettuare la chiamata.
Non abbiamo ancora capito per quale strana magia ma appena superato il ponte sul Missouri e quindi superato il confine della riserva, il paesaggio che si apre davanti ai nostri occhi si rivela completamente trasformato. La stanca uniforme campagna agricole lascia il posto a piccole colline di prateria selvaggia.
Forse sarà per lo stesso istinto di conservazione che da noi, durante il periodo di caccia, fa spostare i fagiani al sicuro nei fondi chiusi, qui, dentro i confini della riserva dove la caccia non è consentita, troviamo vaste colonie di buffi cani della prateria giocare allegramente tra loro e un coyote (assolutamente vivo questa volta) che ci guarda con curiosità prima di scappare via dai suoi fratelli.
Il monumento si trova su una punta di terreno che guarda il fiume Missouri. Intorno nient'altro che il silenzio del vento di prateria.
Sotto il mezzobusto di Tatanka Yotake si trovano svariati doni che i Lakota (non chiamiamoli più genericamente indiani!) Dakota e Nakota lasciano per onorare il grande capo: sigarette, collane, fazzoletti rossi, borsine fatte con teste di animali, fasci di Sage, la Salvia Sacra che viene usata nei riti di purificazione.
C'è chi dice che proprio qui siano seppelliti i resti di Sitting Bull. C'è anche chi dice che gli stessi resti siano seppelliti a Fort Yates nel punto in cui sorge un altro monumento a lui dedicato. Ma c'è anche chi dice, e questa forse è la versione più plausibile, che i veri resti siano seppelliti in un luogo segreto conosciuto solo dal popolo Lakota, lontano dagli occhi dei curiosi.
Ci aspettano tre ore di viaggio prima di arrivare a Fort Yates, dove dovrebbe abitare Dave. Dovrebbe, in quanto più volte gli abbiamo chiesto via mail il suo indirizzo, e lui ci ha sempre risposto con un laconico Fort Yates e il suo numero di telefono!
Durante una sosta per fare delle foto al paesaggio, si ferma con il suo pick-up un ragazzo dai capelli neri chiusi in una lunga treccia, per chiederci se avessimo bisogno di aiuto. Niente di meglio! Approfittiamo subito per chiedergli se sapesse dove abita un certo Dave Archambault. Il ragazzo sorride e ci dice che è suo cugino e ci spiega dove lo possiamo trovare. Capiamo anche il motivo per cui Dave non ci ha mai lasciato un indirizzo preciso: abita a due miglia prima di Fort Yates in aperta campagna dove presumo anche i più scaltri postini si possano perdere.
Dopo varie miglia e varie strade sbagliate, alla fine riusciamo a trovare la casa. Un grande parallelepipedo bianco appoggiato alla sommità di una collina. Dal fuori non darebbe proprio l'idea di una casa abitata, macchine sparpagliate sullo spiazzo davanti casa, materiali da costruzione appoggiati qua e là, finestre chiuse da teli di plastica. Unica forma di vita tre simpaticissimi cuccioli di cane che ci vengono incontro scodinzolando.
Titubanti bussiamo alla porta. Ci apre Betty, la moglie di Dave che ci accoglie abbracciandoci. Quella che fuori sembrava una casa abbandonata, si rivela un luogo meraviglioso: libri da tutte le parti, fotografie dei figli e dei nipoti, oggetti tradizionali lakota, trofei sportivi: tutto parla della storia di questa famiglia. Betty ci spiega che una recente tempesta ha rotto i vetri delle finestre e scoperchiato il tetto e che Dave stava riparando i danni . Proprio per questo motivo il nostro amico non era a casa, doveva andare a comperare altro materiale e non sarebbe tornato fino a tarda sera.
Per sopperire alla sua assenza, Betty si offre di accompagnarci a Fort Yates per farci incontrare con un membro del consiglio tribale, LaDonna Allard, responsabile del Dipartimento del Turismo della Standing Rock Reservation.
Dopo le presentazioni di rito ci dirigiamo nella stanza di rappresentanza per procedere con l'intervista. Betty propone di iniziare con un canto tradizionale lakota come augurio di buon auspicio. Sebbene il canto provenisse da due singole voci, l'eccezionale musicalità delle due donne ha riempito tutta la stanza e ci ha fatto emozionare.
Mentre La Donna rispondeva alle domande dell'intervista, ci rendevamo conto che davanti a noi si sedeva una donna capace, forte e piena di consapevolezza. Alla domanda su quale sia oggi il ruolo femminile nella società tribale, lo sguardo della nostra interlocutrice si accende e con orgoglio ci spiega che la donna è tutt'ora il centro della famiglia e della Tribù, è un punto di arrivo e di partenza, il centro del sacro cerchio, simbolo dei Nativi.
Senza rendercene conto si erano fatte le sei, l'edificio doveva essere chiuso, così La Donna ci invita a casa sua per terminare l'intervista. A casa ci aspetta Miles, il marito, un uomo affascinante dai lunghi capelli bianchi e dalla barba folta e ben curata e Kokò, una bellissima gattina di pochi mesi di cui diventeremo compagni di gioco.
L'intervista prosegue per un po', ma vista approssimarsi l'ora di cena i nostri nuovi amici ci invitano a mangiare al Casinò. Ci siamo sempre chiesti se la presenza dei casinò potesse essere una faccenda dai risvolti negativi e dubitavamo su quale potesse essere l'attinenza con la via indiana.
Affrontiamo questo spinoso argomento con Miles che ci spiega tranquillamente che è proprio grazie ai proventi dei casinò che le riserve possono dotarsi di scuole moderne, efficienti e sopratutto gratis, dai libri alla mensa. Gli introiti infatti, vengono ridistribuiti dal consiglio tribale all'interno delle riserva stessa, riuscendo a garantire i servizi a tutta la comunità. In questo modo è stato possibile, ad esempio, costruire le Survaivol School, delle scuole materne dove viene fatto l'avviamento alla lingua Lakota.
Entrambi entusiasti dall'intensità del rapporto che si è andato a creare, LaDonna e Miles ci invitano a dormire a casa loro come si fosse dei vecchi amici. Così la nostra giornata si conclude con noi che dormiamo in un lettone e con Kokò che gioca con i nostri piedi.
Fort Yates, 17 settembre 2012
Dall'America alle Riserve Indiane
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Dopo tre giorni eccoci finalmente giunti all'inizio del nostro viaggio. Nei report che faremo non vogliamo raccontare quelle che sono state e che potranno essere le nostre (dis)avventure (e già ce ne sono state!) tra aeroporti, bagagli, hotel taxi e agenzie di noleggio, ma vogliamo raccontare l'emozione del viaggio.
Viaggio che ci porterà nel cuore delle pianure americane, nei territori delle Riserve Indiane, per cercare di comprendere dalla loro stessa voce quello che è la loro realtà sociale.
Abbiamo percorso strade immense, lunghissime, dove abbiamo incrociato via via grandi pick up e i lunghi trucks, i caratteristici camion americani. Ai lati della strada immensi campi di granoturco spesso ancora da raccogliere che si alternano a distese di prateria. Null'altro per tutto il tragitto, niente animali selvatici, niente rapaci che volteggiano nell'aria... Forse sarebbe stato un po' ingenuo credere di vedere orde di bufali correre per queste distese...ma vedere qualche animale onestamente me lo sarei aspettato. Purtroppo, gli unici animali che abbiamo visto sono state le carcasse di innumerevoli procioni e coyoti riversati sul ciglio delle route. In realtà un animale lo abbiamo visto anche noi: una tartaruga che con il suo lento intercedere, incurante del traffico stava attraversando la strada, rischiando di essere investita da noi!!
Via via ai due lati sorgono piccoli agglomerati abitativi, che loro chiamano paesi, ma che in realtà sono costituiti da poche case prefabbricate però dai giardini curatissimi. Sì, il giardino sembra sia la grande passione degli americani, che sia si un metro quadrato o che sia un grande campo. Con immensa dedizione curano il loro verde, fino ad arrivare a decorarli con sagome di animali in legno o arredarli con oggetti di uso comune riadattati con estro. A Ipswich una anziana signora, Caroline, ha già iniziato a decorare il pezzettino di giardino davanti casa per halloween, e con orgoglio ci ha mostrato tutte le sue creazioni. Proprio in questo paesino si trova la Prayer Rock, un pezzo di roccia scura con impresse , vuole la tradizione, impronte di mani lasciate dal Grande Spirito.
Ora ci troviamo a Mobridge. Siamo proprio al confine della la riserva di Standing Rock delimitato dal fiume Missouri. Sul ponte scatta la central time zone, e dovremo spostare le lancette dell'orologio un'ora avanti.
Potremo raccontare ancora altre curiosità ma ora dobbiamo proprio andare. Finalmente il vero viaggio sta per iniziare.
Tra qualche giorno il primo report dalle Riserve!
Mobridge SD, 14 settembre ore 9,32
Mariangela e Fabio
Dopo tre giorni eccoci finalmente giunti all'inizio del nostro viaggio. Nei report che faremo non vogliamo raccontare quelle che sono state e che potranno essere le nostre (dis)avventure (e già ce ne sono state!) tra aeroporti, bagagli, hotel taxi e agenzie di noleggio, ma vogliamo raccontare l'emozione del viaggio.
Viaggio che ci porterà nel cuore delle pianure americane, nei territori delle Riserve Indiane, per cercare di comprendere dalla loro stessa voce quello che è la loro realtà sociale.
Abbiamo percorso strade immense, lunghissime, dove abbiamo incrociato via via grandi pick up e i lunghi trucks, i caratteristici camion americani. Ai lati della strada immensi campi di granoturco spesso ancora da raccogliere che si alternano a distese di prateria. Null'altro per tutto il tragitto, niente animali selvatici, niente rapaci che volteggiano nell'aria... Forse sarebbe stato un po' ingenuo credere di vedere orde di bufali correre per queste distese...ma vedere qualche animale onestamente me lo sarei aspettato. Purtroppo, gli unici animali che abbiamo visto sono state le carcasse di innumerevoli procioni e coyoti riversati sul ciglio delle route. In realtà un animale lo abbiamo visto anche noi: una tartaruga che con il suo lento intercedere, incurante del traffico stava attraversando la strada, rischiando di essere investita da noi!!
Via via ai due lati sorgono piccoli agglomerati abitativi, che loro chiamano paesi, ma che in realtà sono costituiti da poche case prefabbricate però dai giardini curatissimi. Sì, il giardino sembra sia la grande passione degli americani, che sia si un metro quadrato o che sia un grande campo. Con immensa dedizione curano il loro verde, fino ad arrivare a decorarli con sagome di animali in legno o arredarli con oggetti di uso comune riadattati con estro. A Ipswich una anziana signora, Caroline, ha già iniziato a decorare il pezzettino di giardino davanti casa per halloween, e con orgoglio ci ha mostrato tutte le sue creazioni. Proprio in questo paesino si trova la Prayer Rock, un pezzo di roccia scura con impresse , vuole la tradizione, impronte di mani lasciate dal Grande Spirito.
Ora ci troviamo a Mobridge. Siamo proprio al confine della la riserva di Standing Rock delimitato dal fiume Missouri. Sul ponte scatta la central time zone, e dovremo spostare le lancette dell'orologio un'ora avanti.
Potremo raccontare ancora altre curiosità ma ora dobbiamo proprio andare. Finalmente il vero viaggio sta per iniziare.
Tra qualche giorno il primo report dalle Riserve!
Mobridge SD, 14 settembre ore 9,32
Mariangela e Fabio